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Giustizia, fisco e lavoro per dare più appeal al Paese

25/01/2012- Panorama Economy - Controvento

Basteranno, le liberalizzazioni del governo Monti a fare crescere la nostra economia? E ad attrarre investimenti capitali in Italia?
In questa rubrica lo si sostiene da sempre: le liberalizzazioni sono una mossa obbligata. Non si tratta di applicare l'ideologia liberista, ma di essere pragmatici. Dobbiamo togliere il gesso
all'Italia che produce. Uno dei suoi problemi maggiori è l'elevato costo dei servizi. I servizi contribuiscono quote crescenti di PIL ma sono molto più protetti dell'impresa "tradizionale". Mario Monti lo sa, e sa anche che c'è un problema di integrazione dei mercati. Tant'è che, in sede europea e chiamato da Barroso, aveva lavorato a un
"rapporto Monti" su come proseguire nell'integrazione del mercato unico. Che significava e significa: integrare i mercati del lavoro, ma far sì che gli scambi non siano liberi solo a livello di capitali e merci, ma anche per quanto riguarda i servizi. L'Europa ci provò con
la direttiva Bolkestein. Andò male, e ci fu un mezzo passo indietro.
Mi piacerebbe sapere se i signori della sinistra che, a cominciare dai sindacati, si opposero fortemente al commissario olandese (ricordate
la favoletta dell'idraulico polacco?), oggi si accorgono di avere fatto un madornale errore. Investimenti nei servizi di capitali esteri sarebbero benvenuti. E innescherebbero un circuito virtuoso. Servizi migliori, a minor costo, sarebbero un ulteriore richiamo.
Le liberalizzazioni di Monti si situano in quell'ottica. Vogliono aprire alcuni mercati importanti, per avere come conseguenza una
riduzione dei costi per consumatori e imprese di servizi essenziali:dai servizi professionali ai trasporti. Ma tanto basta per fare ripartire l'Italia e con questo rendere appetibile il nostro mercato? Qualche altro consiglio per invogliare e investire nel nostro Paese . Primo, migliorare i tempi della giustizia civile. Che sono incredibilmente lenti. Una giustizia civile opaca e lenta tiene
lontani dall'Italia gli investimenti esteri, di cui avremmo grande bisogno, soprattutto oggi. Ma rallenta anche la voglia di fare impresa delle aziende italiane. Secondo, la flessibilità del mercato del lavoro. L'articolo 18 non può
continuare ad essere un tabù. Nel testo sulle liberalizzazioni circolato dal governo (e poi smentito) c'è un innalzamento a cinquanta
dipendenti della soglia su cui si applica l'articolo 18, per le piccole imprese che si fondono. E' un passo nella direzione giusta, ma
può bastare? Bisogna che il governo sappia che la riforma del lavoro non è uno strumento di politica industriale, per stimolare le aggregazioni e le fusioni d'impresa. Ma deve essere uno strumento per fare entrare sempre più persone nel mercato del lavoro. In Italia tradizionalmente la popolazione attiva è limitata, noi dovremmo
cercare di costruire un Paese da 40 milioni di occupati. E questo lo possiamo fare solo creando incentivi migliori. Il che significa
diminuire tutele antistoriche, per mettere in campo un programma innovativo che unisca ammortizzatori sociali e la possibilità, per le
imprese, di tarare meglio il proprio numero di occupati. Terzo, il fisco. La pressione fiscale raggiungerà quest'anno il 53%. E' un valore incoerente con qualsiasi aspettativa di crescita del Paese, e per questo anche incongruo rispetto alla necessità di tenere fermo il vincolo di bilancio. Con imposte maggiori arriveremo al
pareggio nel 2013, ma cosa accadrà dall'anno successivo? Chiederselo non è disfattismo. Se non c'è crescita, diminuiscono per tutti le
risorse disponibili - anche per lo Stato. E c'è il rischio di un circolo vizioso: ancora più imposte, per bilanciare i minori introiti.
Sarebbe importante che il governo desse un forte segnale, su questo fronte. Per esempio facendo sì che le risorse entrate con la lotta all'evasione andassero in un fondo per diminuire la pressione fiscale su chi paga. Perché lo sviluppo, ai tempi di Adam Smith come oggi,passa sempre da qui: norme certe, dinamismo imprenditoriale, tasse
basse. Questo calamiterebbe da noi chi fiuta investimenti redditizi e le multinazionali ritorneranno a credere nel nostro Paese.