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La ricetta di Peggy: ritrovare fiducia

13/01/2010- Panorama Economy - Controvento

La cifra del 2009 sta nella parola “crisi”. È stato l’anno della grande valanga, ma anche quello della grande diga. La diga contro la disperazione ed il pessimismo che con grande abilità ha costruito il governo italiano. La diga contro la paura che milioni di imprese, nel mondo, hanno pazientemente edificato per il bene dei loro lavoratori e dei loro azionisti. Per il 2010 bisogna riprendere in mano il vocabolario e cercare parole più positive. Una delle mie giornaliste preferite, Peggy Noonan, sul Wall Street Journal ha invocato stoicismo ed ottimismo. La grande crisi, ha suggerito, ci dimostra come tutte le istituzioni umane sono sempre fallibili. Ma non è la prima volta che nella storia si “rompono” delle istituzioni. La differenza la fanno sempre le persone. Il pericolo più grande è il fuggire dalla responsabilità, gettare il sasso e ritrarre la mano, dando la colpa al “sistema”, alla “società”, a un ingranaggio tanto più grande di noi.
È questo il pericolo da cui dovremmo guardarci mentre, secondo Peggy Noonan, il cammino della “ricostruzione” comincia solo nel momento in cui abbiamo la forza e la capacità di prenderci ciascuno le nostre piccole grandi responsabilità. Quando la colpa smette di essere degli altri. Quando non adeguiamo le nostre strategie all’andazzo generale, solo perché quello è l’andazzo generale. Aveva ragione la signora Thatcher: la società in sé e per sé non esiste, nel senso che non può prescindere dai suoi singoli componenti. È la qualità, la fibra morale, la forza d’animo di questi ultimi che fa la comunità in cui viviamo.
La parola che spero ci potrà ricordare il 2010, quando ce lo lasceremo alla spalle fra un anno, è “fiducia”. Fiducia in una società più solida e più coesa, perché più degne e ragionevoli sono le singole parti che la compongono. Fiducia gli uni negli altri. Fiducia (e non disprezzo, e non paura) nei confronti di banche ed imprese. Fiducia verso uno Stato che sappia limitare se stesso e, limitandosi, trovi la forza e il coraggio di far bene le poche cose che deve, e non le troppe cose che si dice convenga fare per ragioni di bassa cucina elettorale.
Ricostruire la fiducia non sarà facile. Non lo è nella finanza: è vero che l’anno si è chiuso bene, per le banche, ma questi loro grandi profitti sono dipendenti in modo vistoso dai pubblici sostegni di cui hanno beneficiato. Gli investitori più avvertiti questo lo sanno bene, e proprio per questo motivo stanno ancora alla finestra. Vi fidereste, voi, di atleti che fanno ottimi tempi, perché straordinariamente dopati?
Ma non sarà facile ricostruire la fiducia anche altrove, nella società. In una politica così sterilmente divisa come è quella del nostro Paese (che giustamente il Presidente della Repubblica ha richiamato, nel suo discorso di fine anno, ad uno sforzo congiunto per le riforme). In relazioni che si sfilacciano, perché sfilacciati sono ormai i corpi intermedi. Famiglie deboli, aggregazioni sociali deboli, città deboli.
Viviamo in un mondo che ha disperato bisogno di contatto umano, e lo va a cercare su Facebook, su Internet, proprio perché le istituzioni che dovrebbero canalizzare questo bisogno di fidarsi a vicenda, di credere l’uno nell’altro, sono in crisi. È il lascito amaro di un secolo di Stato sociale, che ha monopolizzato tutti gli ambiti in cui invece dovrebbe essere la società ad esprimere liberamente una domanda ed un’offerta di solidarietà.
Dobbiamo ricostruire assieme una società più salda, fondata su rapporti “sussidiari”, sentiti, veri. Per fidarci di nuovo l’uno dell’altro, per ricominciare a crescere insieme.