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Grandi opere, c’è chi dice sì

3/02/2010- Panorama Economy - Controvento

Per Sergio Marchionne, l'Italia senza la Tav scomparirà dalla cartina geografica. Ho molto apprezzato che l'amministratore delegato di Torino abbia deciso di esporsi, in prima persona, proprio lui così schivo, per una questione che più che la Fiat riguarda Torino (e l’Italia). Una città che all'industria degli Agnelli è intimamente legata: da sempre. Che tanto ha avuto e che tanto ha dato a questa impresa. E che oggi, nel turbinio di un rilancio in crescendo dalla seconda metà degli anni Novanta, scommette sul collegamento con Lione per guadagnare ancora posti nella graduatoria delle più belle e più vive città europee.
Rainer Masera, il presidente della conferenza intergovernativa franco-italiana, l'ha detto a chiare lettere: quello della Torino-Lione sarà il cantiere più grande d'Europa. Beninteso, questo vuol dire che all'opinione pubblica sarà richiesto un supplemento d'attenzione. Sappiamo bene che le grandi opere pubbliche vanno sempre osservate con scrupolo, che i rischi di malversazioni e comportamenti scorretti sui cantieri sono costantemente dietro l'angolo. Una grande sfida significa un grande staff, tante persone. E più si è e più è possibile che si presentino casi opachi. Non è sfiducia: è statistica.
Detto questo, quante opportunità. Quante opportunità per l'ex capitale d'Italia, che da città industriale che era sta ritrovando ora una su centralità. Non più città-dormitorio per i lavoratori della Fiat, ma luogo d'elezione per professionisti di vocazione internazionale, amante della qualità della vita e della civiltà piemontese.
Un altro caso. Il nucleare. Governo e parlamento dovranno decidere a breve sui siti, si deve passare dalle parole ai fatti. Ma chi pensa alle nuove centrali come ad un fastidio non ha capito nulla. In Italia vince sempre la sindrome NIMBY: not in my backyard, non nel mio cortile. Ritornano le vecchie paure, quando la memoria viva di Chernobyl ci portò non solo a rinunciare alle nuove centrali ma a smantellare stupidamente quelle vecchie; con un danno incalcolabile dal punto di vista del capitale fisso investito, ma anche delle professionalità. Abbiamo tenuto per anni le lancette dell'orologio delle imprese italiane artatamente all'indietro.
Il nucleare è chiesto a gran voce dalle imprese, considerato benevolmente da Confindustria, porterà con sé un lavoro e un impegno collettivo di alcuni anni, dovrà accompagnarsi a iniziative mirate per rendere partecipi, e non soggetti passivi, i territori dei siti. Sarà necessario un ragionamento ampio e condiviso con il settore bancario e finanziario, con le assicurazioni. Ma, ancora, quante opportunità. Abbassare il costo della bolletta per tutti. Fare più energia pulita, abbattendo le emissioni. Creare nuove professionalità e nuovi lavori qualificati.
E' l'eterna storiella del dito e della luna. Ogni opera pubblica ha benefici e costi. I costi si vedono nel breve, e per quello monta l'opposizione. Ogni opera pubblica presenta dei rischi (come del resto ogni azione privata). Ma possiamo guardare solo il rischio, pensare solo al costo, ignorando il beneficio?
Vale la pena di lanciare il cuore oltre l'ostacolo. Le valutazioni puntuali costi-benefici, che ci indicano che questa è la strada giusta. Perché oggi del nucleare già abbiamo tutti i rischi (con le centrali a pochi chilometri da noi in Francia) ma nessuno dei vantaggi. Perché un collegamento più veloce con l'Europa serve alle nostre imprese. Ma soprattutto perché queste grandi opere ci riportano nella modernità del mondo dei servizi. Che contano per il 70% del nostro PIL e devono essere il grande motore dello sviluppo, nel dopo-crisi.