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Spesa e tasse, attenti a quelle due

30/01/2008- Panorama Economy n. 5

Con il suo intervento al Forex, il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi si è confermato la punta avanzata della classe dirigente italiana. Draghi si è compiaciuto di come il disordine internazionale abbia avuto, per ora, ripercussioni limitate nella finanza italiana; ma non si è nascosto i problemi che gravano sulla crescita del Paese. Le previsioni dei tecnici di Bankitalia sono al ribasso, e voci ben informate sostengono che l’ultima stima, dell’1% di crescita del Pil, sarebbe stata rivista, se solo le rilevazioni fossero state fatte con quindici giorni di ritardo.
Mario Draghi rilancia sul taglio delle tasse: dice che sarebbe una misura auspicabile, per fare finalmente ripartire lo sviluppo. Ma spiega anche che il taglio delle imposte deve essere accompagnato da un analogo taglio delle spese.
Le forze politiche di centro-destra, prima e dopo l’esperienza del governo Berlusconi, hanno spesso sostenuto la necessità di un taglio alle tasse mettendo in campo la “curva di Laffer”: se si tagliano le aliquote più alte, l’obbedienza diventa più “economica” dell’evasione per i ceti più abbienti. Insomma: ai ricchi conviene pagarle. Pertanto, imposte inferiori si traducono in introiti maggiori per lo Stato. L’ipotesi è stata ampiamente suffragata dall’esperienza: dai tagli fiscali di Kennedy a quelli di Reagan e Thatcher.
La nuova edizione della classifica mondiale delle libertà economiche (curata da Heritage Foundation, Wall Street Journal, e per l’Italia Istituto Bruno Leoni) continua a ricordarci che l’Italia ha i due problemi gemelli: spesa e tasse. Le nostre imposte sono troppo alte, ma fuori misura è pure la nostra spesa. Questo, come ben coglie Draghi, è di per sé un fattore inibente dello sviluppo di mercati privati in Italia.
La spesa deprime lo sviluppo di alternative private, sostiene l’indebitamento, rende l’abbassamento delle tasse vittima di un circolo vizioso. Teoricamente è vero che diminuendo le imposte aumentano le entrate, ma siccome vi sono costi di adattamento (i contribuenti devono “capire” che le tasse sono scese, cioè che pagarle costa di meno che tentare di evaderle), un’alta spesa rende difficile provare ad incamerare più introiti abbassando le tasse, perché in una prima fase, prima che i contribuenti si adattino, se ne potrebbero avere di meno. Ciò è particolarmente vero nel nostro contesto attuale, in cui l’Unione Europea ci impedisce la possibilità di un aumento dell’indebitamento a breve anche a fronte di una prospettiva più rosea nel breve-medio periodo.
Insomma, la spesa deve scendere e deve cambiare di natura. E perciò non deve ostacolare più lo sviluppo di alternative private, alla fornitura statale di beni e servizi. Questo è un bene: solo i privati generano ricchezza, lo Stato al massimo la redistribuisce.
Ho apprezzato di Draghi anche un’altra idea. Prodi parla di tagli fiscali nel senso di fornire uno stimolo ai consumi, per sostenere l’economia. Draghi parla di abbassare le imposte per rilanciare la produttività, focalizzando l’attenzione sulle componenti variabili del salario. Serve uno “scatto di produttività”, ha detto il governatore. Bisogna cominciare a creare ricchezza: questo è il vero problema dell’Italia, la ragione forte per abbassare tasse e spesa. Speriamo che Pd e Pdl sappiano ascoltare la lezione di Draghi.