less normal plus print rss
ITA | ENG

Nomine, la moratoria è d’obbligo

6/02/2008- Panorama Economy n. 6

Qui si propone la moratoria delle nomine di competenza governativa. Non voglio svilire un termine che di questi tempi è usato a proposito di pena di morte e di aborto, mentre qui non c’è in ballo qualcosa di sacro. Ma la parola “moratoria” è efficace. Bisogna evitare tentazioni a chi non abbia una delega conclamata dell’elettorato: funziona così la democrazia. Se le nomine devono essere politiche, che siano fatti da politici che hanno il consenso degli italiani.
Prodi e qualsivoglia potere di transizione non li ha, dunque si astenga.
Non parlo a vanvera. Qualcuno ricorda la parabola dell’”amministratore scaltro”? Gesù lo loda perché è furbo anche se disonesto. È nel Vangelo di Luca (16, 1-13). Visto che il padrone lo vuole licenziare, prima di abbandonare il posto cerca di farsi amici cancellando debiti, facendo sconti. Così – a ben guardare – rischia di accadere in Italia.   
C’è infatti la possibilità che a nominare i vertici di Eni, Enel, Poste e altri enti pubblici (per un totale complessivo di 600 nomine) sia il governo che accompagnerà il Paese al voto. Cioè quello retto da Prodi seppur sfiduciato.
Parrebbe una magra soddisfazione, ma non è affatto magra per un politico che ha fatto dell’occupazione manu militari dell’economia italiana la vera “mission” della sua azione di governo; e che, dai tempi del Mulino e di Nomisma, si è intelligentemente cresciuto attorno un entourage tecnocratico, sempre pronto ad accomodarsi su poltrone pesanti.
Prodi ha il coltello, cioè la legge, dalla parte del manico, ma procedendo alle norme, se pure non commetterebbe una illecito istituzionale, tuttavia farebbe segnare un’altra crepa nella già terremotata casa della democrazia italiana. Non sarebbe soltanto una violazione del galateo della politica. Che colossi del livello di Eni ed Enel vengano gestiti da manager scelti da Palazzo Chigi, non ha senso in un Paese civile. Privatizzare sarebbe utile anche per consentire che queste imprese abbiano un management sempre all’altezza delle sfide che li attendono, a livello internazionale. Per fortuna, negli ultimi anni, siamo stati graziati dal senso di responsabilità della classe politica: ai vertici dei grandi Enti abbiamo ottimi manager che hanno potuto lavorare in autonomia. Ma nomine di contrabbando, soprattutto da parte di una parte politica che lascia la stanza dei bottoni ma vuole tenerci un piedone, potrebbero riportarci a tristi standard da Paese dei cachi.
Credo che la prossima legislatura debba vedere un nuovo, importante, trasparente processo di privatizzazione. Il vasto sentimento antipolitico che circola nella popolazione, non può essere ignorato. Ed esso è alimentato, proprio dall’intervento della politica nella scelta di professionalità che meglio sarebbe lasciare al mercato. Ma non è possibile lasciarle al mercato, se lo Stato non cessa di essere azionista, padrone e padrino.
Tuttavia, finché lo Stato continua ad essere proprietario ed imprenditore, un minimo di decenza imporrebbe che non sia chi ha già fatto le valigie, a decidere nomine di tal peso. Bisogna, insomma, avere - nello spirito della Costituzione - le carte in regola dal punto di vista della legittimità democratica. Prodi o chi per lui dovrebbe congelare questo ultimo giro di valzer, lasciando che sia un governo sortito dalle urne a procedere alle nomine. L’esperienza passata insegna che - se i candidati sono “forti” - possono avere la meglio indipendentemente dal colore dell’esecutivo. Resta ovvio che il criterio delle nomine future – ma ne riparleremo a tempo debito – debba essere improntato a trasparenza e capacità. Ma in tanto, fermi tutti.